Bagdad.

La Moschea di Al Kadhimiya nel quartiere di Kadhimayan a Bagdad. Foto di Massimo Fusai.
La Moschea di Al Kadhimiya nel quartiere di Kadhimayan a Bagdad. Foto di Massimo Fusai.

Bagdad nel 1996. Per quanto possa sembrare strano ho visitato anche quel paese. In quel periodo governava, secondo i suoi schemi dettati dalla follia, il ben noto dittatore di nome Saddam Hussein: un personaggio fuori dagli schemi e in realtà anche fuori di testa. Prima foraggiato dall’occidente, perché nemico dell’Iran degli ayatollah, poi criminale assoluto quando ha toccato il petrolio di altri.

L’Iraq di quegli anni, cioè successivamente alla prima guerra del golfo, era un paese in conflitto con sé. Un paese unito dalla paura, quella verso il nostro occidente che lo aveva bombardato nel 1991, e diviso dall’odio interno. L’odio era l’elemento che spiccava.

L’odio negli occhi delle persone.

Proprio così, l’odio e la paura erano spesso ben visibili in una nazione che non aveva altro modo di esprimersi. La sua capitale, Bagdad appunto, rappresentava in pieno questo sentimento.

Uno dei luoghi principi in cui si poteva percepire questo dissidio umano era il quartiere sciita di Kadihmayn. Gli sciiti erano, per i seguaci del pensiero governativo, una sorta di nemico interno da tenere sotto controllo, perché in una dittatura il dubbio su cosa gli altri pensano è sempre presente. Infatti l’estremo timore della gente di quel quartiere a scambiare parole con me sottolineava il contrasto sociale in atto, il potenziale innesco di una bomba sociologica che poi averebbe deflagrato fino ai fatti di oggi.

Nel quartiere era ed è presente una delle moschee più importanti di Bagdad, la grande moschea Al-Kadhimiya costruita in stile iraniano, cioè con cupole colorate come se fossero d’oro.

La moschea, a cui ho avuto accesso, rappresentava una piccola oasi fuori dalle regole imposte dal governo. Al suo interno le famiglie passeggiavano e relazionavano fra loro al punto tale da sembrare un altro mondo. Un mondo tranquillo in cui tutti potevano ritrovare loro stessi e la normalità della quotidianità espressa, visibile nella foto, rendeva incredibile questo ambito.

Persino io divenivo una presenza normale e gli sguardi timorosi cessavano di esistere. Inoltre la gente sorrideva e parlava liberamente, dimostrando quanto di vero esistesse là fuori, nelle strade di Bagdad.

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