Eclisse in Zambia

Eclisse in Zambia.
La fila era lunga presso il confine con lo Zambia, il fascino dell’eclisse di Sole aveva richiamato in quel paese africano, anche se per pochi giorni, più turisti di quanti ne gestisse normalmente in un paio di anni e lo testimoniava la folla ammassata davanti al piccolo e spoglio ufficio della dogana.
Zambia – giugno 2001, di Massimo Fusai.

Eclisse, tanti chilometri per andare a vederla, poi ancora chilometri, tanti chilometri da percorrere nello Zambia. Scorreva l’arida e piatta savana, punteggiata da arbusti e alberi variopinti posti a decine di metri l’uno dall’altro, nel mezzo una terra rossiccia e incolta che pareva estendersi all’infinito. Lungo la strada qualche cane randagio e viandanti diretti chissà dove, chi a bordo di carretti artigianali, chi su biciclette stracariche, i più a piedi.

Il sole era luminosissimo e caldo, nessun segnale presagiva che proprio quel giorno, anche se per pochi minuti, sarebbe sparito il giorno per lasciare il posto alle stelle.

Finalmente giungemmo sulla linea centrale dell’eclisse. Un improvvisato campo da calcio, nei pressi di alcune semplici abitazioni, divenne lo spiazzo ideale per l’osservazione. Proprio nel mezzo del campo predisposi l’attrezzatura fotografica, mancavano pochi minuti.

ECLISSE: PRIMO CONTATTO.

La Luna iniziava il suo transito davanti al sole e un po’ alla volta un piccolo angolo nero appariva sulla nostra stella, come un morso sulla sua superficie. Ben presto si presentarono le persone che abitavano nelle casette della zona. Erano uomini, donne, bambini, tutti allegri e tutti incuriositi da chi era venuto a guardare l’eclisse. Domandavano curiosi, volevano vedere e infatti osservavano con molta attenzione il sole rosicchiato e poi sorridevano. Intanto l’eclisse avanzava, la luminosità del giorno era calata, ma la gradualità con cui avveniva non rendeva la sensazione di progressiva oscurità. I nostri curiosi amici proseguivano a interessarsi, fra noi un dialogo incompreso anche se ognuno si sforzava di capire cosa dicesse l’altro, in ogni caso dimostravano di sapere molto bene cos’era un’eclisse.

La Luna continuava nella sua opera di fagocitare la palla solare, ormai solo una falcetta di sole restava a illuminare l’ambiente e la luce intorno era veramente surreale. Un cielo grigio non più azzurro, le ombre appena percettibili come in un crepuscolo senza tramonto. Una certa insofferenza appariva nei nostri amici africani, i quali proseguivano a sorriderci anche se lo sguardo era ormai fisso sul sole che scompariva.

SECONDO CONTATTO.

Il culmine dell’evento. Si manifestava con l’ultimo e fioco bagliore solare, simile a un piccolo diamante, quindi l’oscurità. Poi qualcosa di incredibile e impensabile e non era l’eclisse. Non ebbi il tempo di capire, erano grida disperate. Mi girai sorpreso e vidi le persone del posto scappare via verso le loro case. Rimasi un attimo basito, ma il massimo era giunto, dominava su di noi il grande spettacolo del sole nero. L’oscurità non era vera notte, solo le stelle più brillanti apparivano. Intorno l’orizzonte circondava tutto di un chiarore azzurro che ti sorprendeva.

TERZO CONTATTO.

Il massimo durò poco più di tre minuti, ma nella mia sensazione solo un breve battito di ciglia. Il giorno riapparve improvviso così come si era negato poco prima, lo spettacolo volgeva al termine. Pieno dell’emozione di quanto vissuto scattavo le ultime diapositive della Luna che restituiva tutti noi il calore del sole. Dalle piccole case intorno risbucarono fuori gli abitanti. Gridavano anche in quel momento, di gioia però, venivano battendo le mani felici e ci indicavano il sole. Solo in quel momento realizzai cosa era successo: in quei frangenti, con l’eclisse che imperversava, non avevo razionalizzato quanto accadeva. L’umanità aveva superato la soglia del terzo millennio, eppure paure ancestrali ancora potevano governarci e mai avrei pensato di vedere persone che, nel dubbio forse, temevano una eclisse.

Aveva valore giudicare? Aveva senso provare compassione? No, non esisteva nessun valore e nessun senso reale, quelle paure erano lo specchio delle nostre sicurezze e la cultura solo una coperta capace di nascondere i retaggi. Festeggiavano allegramente e salutavano la nostra partenza. Restituimmo sorrisi e quella spontanea allegria, perché noi come loro siamo fragili creature nell’universo infinito.

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