Un giorno a Esna.

«Bakshish, bakshish…» Invocano in coro un gruppo nutrito di bambini nei pontili della località di Esna, generando un codazzo vociante con le mani tese. Sono tanti e praticamente mi accerchiano.
EGITTO “Esna” – Dicembre 1991, di Massimo Fusai

Indico un ragazzino fra i presenti, quello che mi pare essere il più grandicello e sveglio del gruppo, il quale porta una piccola sacca di tela a tracolla. Gli propongo un accordo: se interrompe questa infinita questua guadagnerà lui qualcosa.

Subito butta a terra la sacca e manda via tutti senza tanti giri di parole, quelli più ostinati li caccia a cazzotti e spintoni. Compiuta l’opera recupera la sacca, torna pieno di soddisfazione e mi lancia un’occhiata del tipo “Visto come sono bravo”? Mantengo la parola, concordiamo il da farsi e la cifra. Gli faccio capire che intendo andare alla centrale telefonica della cittadina per chiamare casa.

«Per telefonare dove?» Vuole sapere.

«In Italia» rispondo io. Il ragazzino scuote il capo.

«Non si telefona in Italia da Esna» sostiene. Forse sarà sveglio, ma di certo non sa nulla di telecomunicazioni e così gli faccio capire, senza equivoci, che voglio andare alla centrale telefonica. C’incamminiamo.

Iniziamo a fare amicizia:

«Come ti chiami?» Domando.

«Mohammed» fa lui. Che fantasia, penso.

«Quanti anni hai?»

«Dodici.» Lo sostiene gonfiando il petto ed esibendo un sorriso smagliante, poi all’improvviso scandisce: «Zoff, Cabrini, Gentile, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Antognoni, Rossi.» Rimango allibito, come fa a conoscere la formazione azzurra dei mondiali di Spagna dell’82? Poi scoprirò che tutti i bambini egiziani la conoscono. La TV sta trasmettendo le repliche di quel mondiale.

Ci addentriamo nella città. Qualche bancarella di frutta e verdura, con delle donne intente a comperare, danno un aspetto diverso da quello invadente riscontrato nelle zone di presenza turistica. Molte case intonacate a fango con qualche crepa. Sulle facciate si vedono dei dipinti in stile naif, che raccontano alla buona il viaggio verso la Mecca compiuto da chi vi abita. Cerco di sapere da Mohammed se in famiglia sono stati alla Mecca, risponde di no e mi indica le case disegnate facendomi capire che quella è gente fortunata; qualcuno poi vi è andato addirittura in aereo, lo si evince dal fatto che tra i disegni è presente un’infantile aeroplano in volo.

Continuiamo in direzione della centrale telefonica. Chiedo a Mohammed se va a scuola, lui tira fuori dalla sacchetta un quaderno e due libretti, poi me li mostra con orgoglio soffermandosi sugli esercizi d’inglese.

«Come mai non sei a scuola?» La domanda è d’obbligo.

«Oggi non c’è scuola.» Mohammed mi spiega che la svolge solo 3 giorni alla settimana (a Esna fanno i turni) e poi i turisti sono più generosi nei bakshish se gli vengono mostrati i libri di scuola e qualcuno regala anche delle penne (altro che furbo).

Lungo la strada raggiungiamo una zona residenziale più moderna. Rimango colpito dal fatto che alcune abitazioni sono in stile inglese con colonne ai balconi e giardinetto all’ingresso. Mohammed comincia a indicarmele una ad una: «Qui dottore per le ossa… Qui dottore occhi molti soldi… Qui dottore denti meno soldi…» Le villette sono tutte di medici e figli dell’alta borghesia egiziana e nelle targhe all’ingresso si può leggere persino dove hanno conseguito ulteriori lauree: Oxford, Cambridge, nessuno in Italia.

Arriviamo alla centrale telefonica di Esna:

All’interno c’è molta gente in attesa di telefonare. Mohammed mi fa cenno di aspettare e di corsa si mette in coda allo sportello accettazione, badando bene che nessuno passasse avanti in quanto non era proprio una coda ordinata. Quando si approssima il suo turno mi chiama, afferra la mia mano e mi spinge perentoriamente verso il bancone. Spiego all’impiegato dietro al vetro la mia intenzione di telefonare in Italia. L’addetto mi guarda e in un inglese stentato mi spiega che per l’Italia si chiama solo dal Cairo, Luxor o Assuan, poi mi manda via.

«Te lo avevo detto che non si telefona!» Mohammed ride. Mi prende per mano e mi riaccompagna fuori.

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