Furore

Furore, di John Steinbeck.
Furore, di John Steinbeck.

Il furore è un frutto che puoi cogliere se coltivato nella sconfitta. La natura è difficile da gestire, molto spesso impossibile. Il mais è perso, le piogge non risolvono e le tempeste di polvere offuscano l’aria. Si respira l’odore acre della terra riarsa e dell’aria secca. Questa è la realtà dell’Oklahoma. Tom Joad è libero, rilasciato dal carcere sulla parola dopo una condanna per aver ucciso un uomo. Prende la via di casa, qualche passaggio gli è di aiuto.

Le terre sono spianate, i trattori sostituiscono le braccia di molte persone. Jim Casy il predicatore riconosce Tom, lo accompagna verso la fattoria dei suoi. La casa è in parte divelta, nessuno ci abita più. La terra è presa dalle banche, intorno solo cotone. I familiari vivono nell’abitazione dello zio John, alla ricerca di un salario, cercando di mettere insieme dei soldi vendendo ciò che possono.

Tom ritrova i genitori, i fratello menomato alla nascita. Sono tutti intenti in un trasloco, quello più importante. Il padre stava predisponendo un mezzo, una Hudson Super Six a cui ha tagliato il tetto per ricavarne un cassone per il trasporto delle cose necessarie, il resto avrebbe tentato di venderlo. La famiglia è in procinto di abbandonare l’Oklahoma per tentare la fortuna in California.

Perché furore:

Sognando California, verrebbe da affermare parafrasando il noto brano italianizzato dai Dik Dik. Purtroppo non parliamo di un sogno, sarebbe più corretto definirlo miraggio, idealizzato nella disperazione di chi ha perso tutto. Negli Stati Uniti degli anni trenta si stavano manifestando fenomeni sociali che oggi vediamo da noi in maniera quotidiana: il fallimento della propria esistenza di fronte ai cambiamenti, che fanno forte chi li sa gestire, mentre chi li subisce cede. Questo diventa furore.

Nel racconto le difficoltà nascono da una natura che non può essere controllata e i raccolti non coprono le spese. Inoltre emerge l’aspetto della meccanizzazione dell’agricoltura, che riduce la forza lavoro generando guadagni più certi per chi è economicamente forte. La terra viene tolta a chi non ha più soldi per vivere e un aratro manuale diventa un oggetto inutile del valore di pochi cents. La banca è il nuovo soggetto attivo ma non è una persona. Questo è il frutto dell’odio che cresce in abbondanza, narrando la storia di uomini costretti a perdere. Questo è ancora furore.

Il protagonista Tom, che ha vissuto gli ultimi quattro anni in carcere, scopre questa realtà e, come Virgilio nell’inferno di Dante, ci accompagna attraverso i gironi di una esperienza americana estremizzata. Accompagna noi come accompagna la famiglia nel loro esodo obbligato verso la ricca California. Sì, è proprio furore.

Il romanzo:

L’arrivo in Italia di questo romanzo è particolare. Negli anni ’40 Bompiani ricevette il manoscritto che fece tradurre. In Italia imperversava il fascismo e tutto ciò che fosse americano non era ben visto. La pubblicazione venne consentita, dopo molti tagli della censura, perché ciò che rimaneva rappresentava una America perdente e negativa. Persino il titolo subì una modifica: The Grapes of Wrath (grappoli d’ira) divenne furore, sfruttando un passaggio del romanzo e che oggi simboleggia in modo ampio la forza di questa storia.

John Ernest Steinbeck, Jr. Deceduto nel 1968 e insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1962. Con The Grapes of Wrath, pubblicato la prima volta nel 1939, balzò alla notorietà grazie al premio Pulitzer. Pare che scrisse il romanzo, per altro nemmeno tanto breve, in solo cinque mesi. Una storia simbolo di quella che era definita la grande depressione americana.

“Vedete, una banca o una società non sono creature che respirano aria, mangiano carne. Respirano profitti, mangiano interessi sul denaro. Se non lo fanno muoiono, esattamente come muoiono le persone senza aria e senza carne. È triste ma è così…”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.