Il campo delle ossa

Il campo delle ossa, di Chiara Forlani.
Il campo delle ossa, di Chiara Forlani.

Il campo delle ossa, dove i cani randagi andavano a cercare qua e là. Nello zuccherificio di Pontelagoscuro, località lungo il fiume Po nel ferrarese, avevano deciso di costruire una nuova vasca per lo stoccaggio delle acque putride. Quando l’escavatore, un potente FB50 con enormi cingoli, iniziò a smuovere la terra nell’area prevista per la nuova vasca, numerose piccole ossa vennero messe alla luce. Qualcosa d’incredibile veniva scoperto, lo scavo fu subito fermato. Tante ossa, poi un piccolo teschio forse di un neonato. Era un cimitero di bambini: ‘n brut quèl.

Attilio Malvezzi, detto il foresto, vive nell’isola bianca, un grumo di terra abitato nel mezzo del grande fiume. Divide l’esistenza con Adele Sanvitali, di professione maestra nella cittadina di Pontelagoscuro. Siamo nell’agosto del 1951 e nell’isola ancora non esiste la corrente elettrica e le modernità che stanno apparendo nel resto d’Italia. Le modernità hanno un costo e Attilio non ha un lavoro fisso.

Una offerta di lavoro, anche se temporanea, giunge inaspettata. La comunica l’amico maresciallo Romolo Zeri. Il foresto non crede alle sue orecchie, il maresciallo lo ha fatto assumere allo zuccherificio. Ma quell’assunzione non è proprio un gesto disinteressato, il maresciallo ha bisogno di lui per scoprire, dall’interno, ciò che all’autorità verrebbe nascosto sul campo delle ossa.

Io ho quel che ho donato:

Attilio Malvezzi, conosciuto dalle persone con il nomignolo di “foresto”. Lui riceveva nella vita quanto aveva donato. La frase del poeta D’Annunzio calza bene sul suo operato e stile di vita. Questo perché si tratta di una persona sempre a disposizione di tutti. Una disponibilità che viene dimostrata ancora una volta nell’aiutare il suo amico carabiniere in una indagine delicata, ma anche nell’accettare il lavoro presso lo zuccherificio, anche se gli era costato il taglio della sua chioma rigogliosa con tanti riccioli ribelli. Poi una piccola croce formata da due ramoscelli. Quello che c’è sotto cambia tutto. È questo il succo di un giallo romantico, non nel senso della storia d’amore ma per l’intensa espressione passionale dei protagonisti, in una epoca in cui ancora gli animi umani si esternavano limpidi.

Nel 1951 la vita era ancora molto diversa da quella che oggi conosciamo. La mentalità contadina predominava e anche se forme di modernità stavano arrivando tutto aveva ritmi e priorità molto diverse. Anche il mondo della fabbrica, rappresentato in questo caso da uno zuccherificio, ci rammenta che ogni gesto era fatica e pericolo. Lo zuccherificio come un inferno dantesco, fatto di calore e rumore assordante, di miasmi e fumi putrescenti, in un periodo in cui il problema dell’inquinamento non transitava nemmeno nell’anticamera del cervello di nessuno.

Le differenze fra il 1951 e oggi, nel modo di vedere le cose, sono in effetti molte. Per esempio ancora si ricamava il corredo per il matrimonio. I telefoni si trovavano in pochi posti e chi lo aveva era visto come un privilegiato. Ci si spostava In bicicletta, sia con il caldo che con il freddo e molti potevano ancora non avere la corrente in casa. Le zanzare no, c’erano anche all’epoca.

Le differenze riguardavano anche aspetti che solo successivamente sono stati regolari e legiferati, fa cui voglio citare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza. All’epoca una funzione sopperita secondo canoni nascosti in varie forme: alcuni portati ad accogliere un nascituro abbandonato, altri nell’offrire erbe che avrebbero dovuto stimolare un aborto spontaneo o chirurgia fai da te, capace di provocare morti.

Un protagonista che ci accompagna:

Il romanzo “Il campo delle ossa”, è un giallo davvero ben strutturato e definito, sviluppato in giornate a loro volta divise in capitoli. Uno schema semplice e chiaro, che ci conduce a capire il perché di quelle ossa e libera il lettore dall’impegno di ricostruire i tempi, in quanto tutto resta definito nel testo. Perfettamente regolato il rapporto fra ricostruzione storica ed eventi, capace di arricchire la narrazione, con uno stile di scrittura coinvolgente e precisa, mai distaccata o eccessiva. Il personaggio del foresto, che oramai possiamo definire seriale, si presenta come un semplice Virgilio che ci accompagna a conoscere una realtà passata nemmeno da un secolo.

Come mai ho definito il foresto un personaggio seriale? È presto spiegato: si tratta del secondo romanzo ambientato in questa parte del fiume Po con lui protagonista. L’autrice, che ha ideato e curato questo fortunato protagonista, si chiama Chiara Forlani. Una scrittrice ferrarese con una discreta produzione letteraria, sia in romanzi classici (più che altro ambientati in contesti storici) che lavori per ragazzi. Di lei ho già avuto modo di parlare altre volte, sappiamo essere una donna eclettica che si è occupata anche di arte e restauro, oltre che insegnare presso la scuola ospedaliera dell’Ospedale Pediatrico di Ferrara, dove svolge lezioni ai piccoli malati ricoverati.

La prima indagine del Foresto uscì in piena pandemia, nonostante questa limitazione ha riscosso un discreto successo, sia come lettori che nel campo dei premi. Anche questa seconda pubblicazione, al pari della precedente e di altri lavori di Chiara Forlani, si concentra sulla gente comune e sulla quotidianità, a cui riconosce una importanza strategica nel cuore di una storia.

“Devi farmi un interrogatorio? Visto che collabori con i carabinieri…”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.