Il cimitero delle bambole

Il cimitero delle bambole, di Maria Iervolino.
Il cimitero delle bambole, di Maria Iervolino.

Un giorno di sole turbato dal vento quel sette maggio del 2010. Le sirene per la strada, il cadavere di una donna con un coltello da cucina piantato nella schiena viene rinvenuto in una zona periferica di Boccapianola, all’interno di un noccioleto. Forse una prostituta, la zona in effetti è battuta da donne che svolgono quel lavoro ma lei non sembra esserlo. Quel giorno comincia un tempo, che vede dietro di sé lo svolgimento.

Melina è una bambina che va su e giù alla strada, la scuola è quasi terminata e gioca a fare la mamma preparando il pranzo alla bambola. Non c’è televisione da vedere e la sera solo il telegiornale che parla di terremoto e politica. Poi il 23 novembre 1980 il terremoto lo sentono davvero.

Elisa è bionda, gambe da donna e calze a rete. Melina s’indigna per come si atteggia. Il padre si chiama Renato, fa il fruttivendolo e sorride sempre… sempre.

Anna è bella e già molto alta e ha voglia di cantare, non fa la sensuale come Elisa. Solo che il padre ha deciso che a scuola non deve più andare.

Vicino al paese di Boccapianola si trova villa Ginestra. È abbandonata da tanti anni, dicono ci siano i fantasmi, un vecchio pianoforte che suona senza che nessuno lo tocchi e una vecchia bambola appesa per il collo. Virginia non vuole sentire parlare della villa, chiede di cambiare discorso.

Quali bambole e quale cimitero:

È probabile che molti lo pensino, ma se un romanzo inizia con un morto non significa che sia un giallo dominato dal solito commissario di turno. Questo è un romanzo profondo, storie di vita in un territorio difficile in cui scorrono esistenze difficili. Poco conta che le vicende girino intorno a delle bambine che stanno divenendo adolescenti, con un contorno ricco di personaggi che, come nella savana, si distinguono in predatori e prede, in dominatori e sottomessi, femmine protettive e giovani alla scoperta di quel mondo.

Poi gli omicidi, anche tremendi, ma chi viene ucciso e sempre descritto come una brava persona come se la morte facesse diventare tutti dei buoni. La malavita non guarda in faccia a nessuno nemmeno al padre eterno, forse salva ancora femmene e criature sulla base di un ipotetico e falso codice d’onore, che invece rappresenta crudeltà.

La storia si sviluppa in modo principale negli anni ottanta in una località chiamata Boccapianola, descritta come un piccolo centro non lontano da Napoli. Area di camorra e morti, dove la terra è simbolo del non vedere, dove il sangue dei ragazzi ha segnato i selciato delle strade e la bella vita non coincide con una vita bella. Il mondo sta cambiando e nonostante il periodo tutto pare immutabile a Boccapianola, una distanza enorme rispetto alla modernità di quegli anni. Nell’unica piazza del paese ci sono solo gli uomini, le donne stanno a casa e nessuna si sognerebbe di sedersi in centro su una panchina.

In questo contesto delle ragazzine appresso all’ammore, allo sposarsi, affascinate dal matrimonio principesco di Lady Diana anche se c’è chi la vede solo come una scemità. Crescere per diventare adolescenti pensando a un principe azzurro, tipologia di uomo che scarseggia di qualunque colore lo si voglia e magari a trovare un marito da zitella ci pensa poi la sensale. E mi piace immaginare che forse siano loro le vere bambole nel cimitero dell’umanità misera.

Il romanzo e l’autrice:

Un libro scritto in un modo che definirei perentorio, in cui il racconto non pone pause perché non esistono pause nella tragedia. Tragedia non solo per gli aspetti cruenti ma anche per il tono teatrale della narrazione. Personaggi fortemente caratterizzati in poche righe, come Zi’Ntonio o Renato, capaci di prendere la scena al loro semplice apparire. Un’alternanza di figure che si presentano, come un corpo di ballo paritetico in cui a turno prendono la prima fila. In questo complesso esiste una protagonista, ovvero Melina, mai debordante ma perfetta a guidare il lettore verso l’epilogo toccante.

Maria Iervolino, autrice campana anche se nel certificato di nascita viene citata la località tedesca di Karlsrhue. Vive in provincia di Napoli ed è imprenditrice, ma per diletto segue la narrativa e scrive, infatti ha partecipato ad alcune antologie. La passione della scrittura l’ha condotta a questo esordio molto interessante e gli esordi mi attirano tantissimo. Ho notato una intensa capacità di creare l’ambiente e l’azione senza spettacolarizzarla, con un carico di teatralità che per certi versi mi ha ricordato Elena Ferrante.

Questo romanzo, come altri di cui ho trattato, vede la luce grazie al concorso “io scrittore”, da cui è stato selezionato meritatamente. Come per altri testi simili, mi auguro un bel futuro e mi rammarica solo che un grande gruppo editoriale si sia limitato a una edizione ebook.

“Questo posto è un cimitero e noi siamo tante bambole morte”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.

2 Risposte a “Il cimitero delle bambole”

  1. Grazie per questa recensione. Scorrendo tutte le tue, fa un certo effetto vedermi tra autori così capaci.

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