Il richiamo del corvo

Schiavismo.  Il richiamo del corvo, di Wilbur Smith.
Il richiamo del corvo, di Wilbur Smith.

Schiavismo in Virginia 1840-1850. Mungo St John è figlio di importanti proprietari terrieri e grazie a queste sue origini poteva studiare, vivere una vita libera, svolgere sfide di abilità retorica nei dibattiti alla Cambridge Union Society sulla fine della schiavitù.

Tutto veniva garantito da suo padre, il quale disponeva dell’impegno di ben quattrocento lavoratori di colore e, a detta di Mungo, teneva a ognuno di loro. Un bene prezioso, che definiva tutte le sue sicurezze, i privilegi di una vita agiata, una vita circondata da schiavi.

Schiava era Camilla, il suo amore, la sua passione. Proprio lei, con una lettera scritta con una grafia infantile, riesce ad avvisare Mungo che qualcosa sta succedendo, una lettera che cambia completamente i presupposti. Il padre è morto, la tenuta in rovina, non c’è niente da raccogliere perché nulla è stato piantato.

Tornato a casa, la realtà si mostra ben peggiore. La proprietà è pignorata. L’avvocato Chester Marion, uomo che gestiva i beni per la famiglia, si sta appropriando di ogni cosa e non solo. Oltre ai beni della famiglia St John, prende come amante personale la stessa Camilla.

Schiavismo:

Un classico romanzo secondo lo schema narrativo di Wilbur Smith: azione, colpi di scena, ribaltamenti di ruolo, eccetera, eccetera. L’impostazione della storia non si discute e non ha nemmeno importanza sottolinearla, gli appassionati di questo autore avranno modo di apprezzarlo ulteriormente.

L’aspetto che porta valore al romanzo, più che alla vicenda, è il contesto generale. L’ambito dello schiavismo, divenuto una condizione di normalità negli stati del sud dell’America federata. Una condizione di normalità tale da costituire un equilibrio sociale stretto, persino per chi lo vive da schiavo.

La ricchezza è data dalla terra, dal possederla e produrre tabacco in Virginia o cotone nel Mississipi. Ma la terra, soprattutto se tanta, vuole lavoratori e la ricchezza quindi nasce dallo sfruttamento del lavoro altrui e non importa se gli uomini non sono più in catene o fatti lavorare fino alla morte. Rimangono proprietà.

Chi vive la propria libertà e benessere con le regole dello schiavismo, non vede questo aspetto come un eccesso, anzi all’opposto vuole apparire alla stregua di un benefattore. Lo schiavista si presenta come colui che loda uno schiavo se lavora bene, che lo cura se si ammala e lo piange se muore. Una cosa di proprietà e di valore, alla stregua di un cavallo, da curare e strigliare con cura perché utile.

Wilbur Smith.

Wilbur Smith, autore di bestsellers, nato nell’allora Rhodesia del nord, nome del protettorato britannico attualmente Zambia, e residente a Londra. Nel 1964 nasce il suo successo con “Il destino del leone”, dopo tanti rifiuti dei suoi manoscritti. Da quel momento ha scritto e pubblicato decine di romanzi di avventura, per lo più ambientati nella sua Africa. In questo libro si addentra nella storia americana, con l’aiuto di Corban Addison, un avvocato della Virginia, esperto in materia dei diritti umani e schiavitù.

Non ho letto molto di Wilbur Smith, tutto è pressoché impossibile dato che ha sfornato quasi un romanzo all’anno. È innegabile la sua abilità nel creare storie e catturare il lettore, toccando temi anche di rilievo ma stando sempre legato a un approccio leggero e quindi capace di essere compreso da chiunque a qualunque livello.

Secondo voi, a metà del 1800, vivevano meglio gli schiavi nelle piantagioni americane o gli operai in una fabbrica manifatturiera europea?

Massimo Fusai. Segui su Instagram.