Il richiamo della foresta

Il richiamo della foresta, di Jack London.
Il richiamo della foresta, di Jack London.

Il richiamo della foresta erano gli antenati morti e ridotti in polvere, che levavano il muso alle stelle e ululavano nei secoli attraverso di lui. Buck non leggeva i giornali, se così fosse stato avrebbe saputo dei guai che bollivano in pentola. Lassù a nord l’uomo aveva trovato il metallo giallo tanto prezioso e in migliaia si erano lanciati in quella impresa. Uomini che avevano bisogno di cani forti con il pelo folto. Buck abitava a sud, in una grande casa con tanto terreno intorno a Santa Clara in California, proprietà del giudice Miller.

Manuel, aiutante giardiniere, aveva il vizio della lotteria cinese, necessitava di soldi. Legò Buck che accettò la corda in silenzioso contegno, aveva fiducia negli uomini. Ma la corda passò di mano ad altre persone sconosciute e la sua vita mutò in un attimo. Per due giorni e due notti chiuso in una gabbia, in vagoni trainati da locomotive urlanti, senza mangiare e senza bere.

Domato con un bastone poi nutrito con carne cruda, la sua rabbia era sconfitta. Quindi venduto ancora e portato in una terra fredda e primordiale dove non c’era pace né riposo, piena di pericoli sempre in agguato. Dove esisteva una sola legge: quella della zanna e del bastone.

Un richiamo o una crescita?

Il cane Buck è il centro di tutta la storia. Si tratta di un cane meticcio, un incrocio fra il San Bernardo e pastore scozzese. Come tutti i cani che hanno sangue misto è molto astuto e intelligente. Impara presto come gestire tutte le novità che lo investono. Impara a conoscere la morte a causa della sventurata Curly, una femmina di Terranova bonacciona, assalita da un gruppo di lupi che la uccidono e dilaniano a morsi.

Buck vive di tutto e conosce molti protagonisti, esseri umani e altri cani. Dire che si tratti di una banale storia di avventura, per altro una lettura molto adatta anche a giovanissimi, è come sminuire la portata di questo piccolo testo. È la storia di una evoluzione dettata dall’istinto, gestita con una capacità di sopportare e allo stesso modo di essere fedele. Una crescita in cui si identifica l’autore medesimo, per il trasporto che trasmette nelle pagine. Una evoluzione che diviene trasformazione, anche fisica perché la vita lo impone, ma soprattutto da cane di famiglia a capobranco nella foresta selvaggia.

Questo lungo transito verso la coscienza di sé è data dall’interazione con gli altri cani che vivono in quelle terre fredde, oltre all’incontro con gli uomini. Uomini che si palesano con la loro cattiveria e avidità, che si contrappone con amicizia e fedeltà, perché esistono anche persone capaci di generosità. Il contrasto di elementi forti come la relazione di dipendenza con l’uomo e l’istinto naturale diviene l’elemento drammatico essenziale. Viene utilizzato l’animale, per antonomasia più vicino a noi, per rappresentare l’allegoria del ragazzo che diventa uomo e indipendente. Non posso essere certo che Jack London avesse fatto questa riflessione ma gli elementi ci sono tutti e molto appariscenti a parere mio. Credo che si possa definire un romanzo di formazione.

John Griffith Chaney London (1876 – 1916), noto scrittore e giornalista statunitense. Però la sua vita non rimane concentrata sull’attività di autore di romanzi, per altro tutti celebri. Possiamo affermare che è stata una esistenza per certi versi vagabonda e molto varia: da venditore di giornali in strada ad agente assicurativo, da pescatore di frodo ad agricoltore, da pugile a cercatore d’oro. L’oro, proprio quello, infatti partì per il famosissimo Klondike, regione nota perché narrata nei fumetti con Paperon de Paperoni, per partecipare alla follia della corsa all’oro con molte difficoltà. Da questa esperienza nasce “il richiamo della foresta” ma anche altri romanzi. Una nota curiosa, che a mio avviso giustifica questa visione evolutiva messa in piedi nel racconto, ovvero che durante l’esperienza nel Klondike si fosse portato da leggere “L’origine delle specie” di Darwin.

“Uccidere o essere ucciso, mangiare o essere mangiato, era la legge.”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.