Il sogno Shardana.

Il sogno Shardana è un racconto che ha visto la pubblicazione sul giornale “Paese Sera”. La versione che leggete qui è rivista e corretta rispetto all’originale presente online nel quotidiano. Il racconto nasce giocando sulle varie teorie, più o meno verificate, sull’origine della cultura nuragica. Nessuno scopo scentifico o di posizione rispetto ad alcuna teoria tutt’ora in auge, ma solo la voglia di girare intorno a questi temi per avvicinarsi alle tragedie di questi anni.

Il sogno Shardana.

Un bambino stava accanto al proprio nonno. Un bambino come tanti, un nonno come tanti, come tutti i bambini e tutti i nonni in ogni epoca comprese quelle remote.

Si trovavano davanti a un leggero fuoco, mentre il sole era scomparso per lasciare spazio alla notte serena. Le capanne di pietra e canne del villaggio, dominato dal grande nuraghe, erano vicine; di fronte il mare scuro come la notte che si apprestava.

 Il bambino spesso ascoltava le storie dell’anziano e una in particolare lo attirava: quella inerente al perché vivevano lì. Al bambino pareva scontata la sua presenza in quella terra e non riusciva a concepire altri luoghi, addirittura che fosse possibile un’origine al loro esistere. Chiedeva e spesso si addormentava placidamente. Quella sera era deciso ad affrontare la questione fino in fondo. Com’è tipico per ogni bambino, la domanda venne espressa in maniera diretta e a suo modo precisa.

«È vero quanto dicono al villaggio, che noi veniamo da un posto lontano?»

Il nonno finì di attizzare il fuoco, sospendendo d’intagliare un bastone necessario al governo delle greggi.

«La nostra origine», disse l’anziano con voce tenue, «il nostro primo antenato, il padre che onoriamo e ci ha dato questa esistenza, non era nato qui, bensì aldilà del grande mare. Il motivo per cui partì per compiere questo viaggio ha un’origine ancora più antica, non fu una sua idea, solo lui però riuscì a metterla in atto. Era il sogno di suo nonno e come vedi noi nonni siamo importanti.»

Il bambino sorrise annuendo. «Tu lo hai conosciuto?» Chiese semplicemente.

«No, sono vecchio è vero, ciò nonostante non ho vissuto quella storia. La conosco, perché la raccontava mio nonno e a lui fu il suo di nonno a narrarla, avendola ascoltata a sua volta da altrettanti avi. Tante vite si sono susseguite e solo il cielo sa quante. Io posso riportartela, come hanno fatto loro e come farai tu un domani. Era l’alba del tempo, l’alba di tutte le storie. Una vicenda che ci conduce lontano, molto lontano. Infinite lune sono trascorse da quei giorni.

La storia ha inizio in un territorio senza il mare e sempre più sterile. Il reggente di una grande unione di genti, di nome Shardì, decise che era il caso di cercare un’altra valle di pace e prosperità. Aveva avuto un sogno: una terra ricca, la quale li avrebbe generosamente nutriti, dove avrebbero imparato nuovi modi di viverla e affrontarla, con persone pacifiche pronte ad accoglierli e intorno tanta acqua in movimento che avrebbero dovuto attraversare. Con grande capacità convinse gli altri capi e tribù a seguire questo sogno, per condurli dove potevano vivere meglio. Fu nominato conduttore di tutti e da lui guidati iniziò un lungo viaggio attraverso lande desolate nei pressi dei confini del mondo, fino al popolo delle oasi. Questa comunità non vide bene il loro arrivo. Ci fu guerra per la terra e questi antichi migratori, pur essendo rappresentati anche da grandi guerrieri, erano stanchi e subirono l’attacco degli uomini delle oasi. Furono giorni di battaglie, lutto e angoscia. Tutto pareva essere sulla soglia della fine assoluta. Così, Shardì, convinse tutti i capi a non cedere. Gli disse di seppellire i morti e non piangerli, perché sarebbe stato il loro spirito a dare forza maggiore a tutti. Condusse le tribù alla battaglia finale.

Vinsero.

A parte un periodo necessario a recuperare forze e dignità non rimasero molto a lungo nelle oasi. Quello non poteva essere il loro luogo predetto, mancavano i grandi spazi sognati, gli abitanti pacifici e accoglienti e la tanta acqua in movimento intorno. Shardì, il conduttore, convinse nuovamente le tribù e i suoi rappresentanti ad affrontare ulteriormente il viaggio, all’inseguimento di un sogno. Proseguirono, perché oltre a una terra che fosse fonte di sussistenza avevano necessità di un luogo generatore di pace. Successivamente giunsero alle montagne, quelle che al di là del mare si dice sorreggano il cielo. Incontrarono il popolo che disegna sulle grotte, una razza antica anch’essa, la quale ricordava la sua storia raffigurandola nelle pareti delle caverne dove abitavano. Vivevano con poco e poco potevano dare alle genti guidate da Shardì, le quali erano indebolite per la grande migrazione. In quell’incontro e in quei disegni Shardì seppe dell’infinito lago salato, una distesa di acqua senza confini che noi oggi chiamiamo il mare nostro. Shardì lo vide come un segno del destino, la dimostrazione che il sogno era molto più di un’illusione vissuta nella notte. Non aveva mai visto e conosciuto il mare e pensò che se c’era tanta acqua c’era tanta vita. Così, comunicò a tutti la necessità di raggiungere l’immenso lago salato, ma qualcuno non era più d’accordo. In quelle montagne nacque la prima importante divisione. Per molti il viaggio era giunto al termine e dopo una grande caccia, svolta congiuntamente con il popolo che disegna sulle grotte per ringraziarlo dell’ospitalità, vi fu la separazione. Quindi esistono degli antichi fratelli dall’altra parte del mare nostro e magari un vecchio come me racconta la medesima storia a un bambino come te, solo che la loro termina in quelle montagne.

Shardì, invece, riprese il resto della sua gente e ripartì alla ricerca del mare. Una ricerca lunga e durante il tragitto, apparentemente senza termine come il grande lago ricercato, trovò solo ostilità e odio in chi li incrociava. Pareva una regola invalicabile, se incontravano altri popoli nasceva la reciproca paura: quella di chi vede arrivare stranieri a occupare il loro territorio e quella di chi viaggia, non sapendo come verrà accolto. L’esistenza si faceva sempre più difficile, al punto tale che la notizia del loro giungere era ormai anticipata dalla nomea d’invasori. Eppure non erano tutti guerrieri, erano esseri umani alla ricerca della pace e difendevano la loro vita. La difficoltà di proseguire con queste prospettive causò malumori nella comunità che seguiva Shardì. Nacquero critiche e ribellioni. Non fu facile mantenere unite le genti, le quali però si consolidavano contro chi li attaccava nella loro ricerca di una terra. In questa penosa condizione proseguirono il viaggio, verso quello che conoscevano come il grande lago salato e ci giunsero infine, non tutti. Ormai vecchio, Shardì, morì prima di conoscere il mare, con l’angoscia di non aver completato il suo compito.

Le tribù si organizzarono senza un nuovo unico capo e giunte finalmente sulla costa si divisero, cercando ognuna il proprio senso della vita e di essere, mescolandosi con chi vi abitava già. Alcuni abbracciarono la nuova realtà del grande mare, cominciarono ad affrontarlo, a vivere di pesca e a governare la sua natura, quando era possibile. Altri tornarono verso l’interno, ove la loro esperienza trovava maggiori possibilità. Le tribù più votate alla guerra entrarono in contatto con altri popoli, servendoli da mercenari e vivendo di battaglie fino in terre lontanissime, dove un regno molto importante aveva eretto colline di pietra levigata a forma di piramide.

Il grande sogno di Shardì, in pratica, non si realizzò con lui, però l’idea di unificare e organizzare un nazione nella terra del sogno non si interruppe con la sua morte: aveva degli eredi. Una figlia che generò a sua volta un maschio, discendente del grande conduttore. Il suo nome era Shardus, ovvero il nostro padre. Fin da giovane imparò l’arte di forgiare e lavorare il bronzo, poi tutti i segreti dell’affrontare il mare. Conobbe le storie di individui, i quali portavano selce e le pietre che bruciano da una grande isola. Parlavano di una terra dove alcuni gruppi vivevano pacificamente di agricoltura e pastorizia, con pianure fertili e prospere, animali per la caccia e da allevare, adorando una dea madre che rappresentava la stessa terra prolifica. In questa isola, Shardus, vide il sogno di suo nonno e iniziò a raccogliere più informazioni, mentre crescendo cominciava a mostrare le sue doti di uomo.

Convincere le tribù a riunirsi per un altro grande esodo affrontando il mare, questa divenne la sua impresa iniziale.

Non risultò semplice e molti anni passarono prima che lui, divenuto capo del suo clan, riuscisse nel lavoro di riunire un certo numero di tribù. Non furono tutti, nemmeno la maggior parte, molti divennero pronti a seguirlo. Prepararono le imbarcazioni, il cibo da stipare e l’acqua, perché quella del mare non è possibile da bere. Attesero che i mostri delle profondità si acquietassero e il mare fosse tranquillo, aiutati nella decisione da chi conosceva da sempre l’umore di quelle acque. Caricarono su alcune imbarcazioni degli animali da utilizzare nella nuova destinazione e partirono in tanti, riempiendo di persone e speranze quei legni diretti al loro futuro e al nostro presente. Shardus aveva imparato che l’isola si trovava a nord, ad alcuni giorni di navigazione e per compiere il tragitto aveva assoldato chi quel viaggio lo aveva già vissuto. Carichi come erano impiegarono molti più giorni di quelli preventivati. I mostri nascosti nel mare, che a volte agitano le acque, si svegliarono e misero difficoltà a quelle imbarcazioni stipate. La lotta impari degli uomini sulle barche mostrò tutti i suoi limiti e le onde fameliche ne rovesciarono alcune. Uomini, donne e bambini morirono, inghiottiti dalle acque spaventose. Anche le imbarcazioni con gli animali ebbero la stessa sorte, perché le bestie non vivono con la ragione e vinte dal panico della paura aiutarono il mare ad averli per sé. Peggio di una guerra fra popoli, la battaglia di Shardus e della sua gente divenne inumana, solo che non avevano davanti un nemico in carne e ossa da combattere. Non c’erano guerrieri da colpire, solamente la vita da salvare al meglio delle loro forze.

Come in tutte le guerre giunse una tregua, fornita da una costa accogliente e protettiva. Non era l’isola che volevano raggiungere, non erano nemmeno a metà del tragitto, tuttavia fu per loro una salvezza insperata e benedetta. Molti giorni sostarono fra quelle lande capaci di fornirgli acqua e nuovo cibo. Shardus, ostinatamente, voleva arrivare là dove era convinto che il sogno di suo nonno fosse volato e dove desiderava rifondare un’esistenza definitiva. Come successe con l’avo Shardì, alcuni decisero di fermarsi dopo aver conosciuto il volto terribile della morte. Shardus lasciò liberi di scegliere chi avesse temuto di proseguire. Nel frattempo fece riparare le imbarcazioni e riorganizzare i viveri possibili per sopravvivere al grande deserto di acqua salata e quando il mare sembrò concedere speranza, lui e le sue genti rimanenti, ripartirono verso la meta definita. Con le imbarcazioni rimaste ripresero la via del mare e ancora non fu semplice ritrovare la giusta strada. I vecchi mercanti assoldati studiavano il tragitto del sole e di notte le stelle più luminose per recuperare la via perduta precedentemente. Purtroppo il percorso fu lungo e impegnativo. Chi ne soffrì maggiormente furono le donne, le più deboli delle quali morirono per le difficoltà del viaggio. Nonostante che i mostri del mare non avessero preso risveglio, il percorso si dimostrò più lungo e impervio del previsto, a causa pure delle correnti. Furono tutti messi a dura prova sotto il sole inclemente.

Sfiancati dalle condizioni di viaggio e dall’acqua terminata, scorsero all’orizzonte una grande costa annunciata dal volo vivace di uccelli. Quella vista insperata ridette energia a tutti i sopravvissuti, i quali con rinnovata vigoria volsero verso quella terra. Era l’isola che Shardus cercava, erano giunti finalmente nella nuova casa. Spiagge placide e serene furono la loro accoglienza, frutti spinosi e dolcissimi, che già conoscevano di là del mare, il loro primo pasto rinvigorente dopo giorni di inedia. Finalmente ripresi dalle tante fatiche, iniziarono a perlustrare il luogo in cerca di un punto dove fondare la loro nuova esistenza. Innalzarono le prime capanne e una in particolare, con una struttura circolare di pietra, veniva usata da Shardus con le persone più anziane e esperte per decidere il loro futuro, esattamente come facciamo noi oggi. Non avevano nient’altro che se stessi, e per rifornirsi iniziarono a organizzarsi per la caccia.

Durante le loro battute fecero l’incontro con chi già abitava quei luoghi: villaggi circondati da ampie zone coltivate e greggi curate. Come sempre in quei casi, la paura ebbe il sopravvento: nacque in chi risiedeva, vedendo apparire volti diversi e inaspettati; si preoccupò chi aveva viaggiato pericolosamente per tanti giorni, temendo che tutto non fosse terminato. Il timore e l’incertezza è naturale in quelle circostanze e ognuno diffidava dell’altro.

A volte il cuore di chi onora la vita ha un battito immenso, che permea tutto quanto ha intorno a sé e supera le diversità e le incomprensioni. Vi fu molta paura e scetticismo in quegli abitanti, nel momento in cui scoprirono l’arrivo di Shardus e del suo seguito, tuttavia avevano un profondo rispetto per l’esistenza umana e alla fine aiutarono i nuovi arrivati a sopravvivere sulla nuova terra. Erano menti semplici, che vivevano la terra e l’adoravano come una madre generosa e accogliente; seppellivano i loro morti in anfratti restituendoli al suo ventre; ponevano a protezione dei propri villaggi dei pilastri di pietra, a rappresentare gli spiriti di quella terra di cui possedevano un profondo rispetto. Da loro, Shardus e la sua gente, impararono a gestire la natura e a coltivare, furono aiutati a recuperare animali da allevare e curare. Metodi di caccia più appropriati e il ricco cibo che il mare vicino alla costa poteva fornire, fu il favore restituito a coloro i quali dimoravano da sempre.

Vivere separati, anche se in pace, non dava grandi benefici e le donne sopravvissute erano poche. Così Shardus iniziò a creare dei legami più stretti con quella cultura guidata perlopiù da madri. Sposò una figlia della donna che governava il villaggio più importante e si legò in maniera definitiva e duratura alla loro comunità, procreando e definendo un nuovo stile di vita derivato dall’origine paterna. Presto mescolarono il loro sangue generando figli che possedevano la natura degli uni e degli altri. Una nuova razza forte, la quale iniziò finalmente a vivere in armonia in una terra sognata tanti anni prima. Shardus fu nominato re pastore, il primo padre di questa nuova progenie e tutt’oggi lo consideriamo il padre mitico di tutti noi. Il padre Shardus.»

«Tutto questo è accaduto tanto tempo fa?» Chiese il bambino rannicchiandosi e  sbadigliando per il sonno.

«Sì, caro il mio figliolo. Tanto tempo fa, ma è l’essenza del tuo oggi. Tu esisti solo perché tutto questo è potuto accadere, perché non c’è una distanza invalicabile fra le razze e le stirpi, perché qualcosa di noi è presente lontano da noi. Se quando sarai più grande vedrai qualcuno giungere sul litorale lascia che trovi approdo e riposo, perché potrebbe trattarsi di un antico fratello di là del mare nostro, come il padre Shardus che qui ha messo le radici.»

«Grazie, nonno», sussurrò il bambino addormentandosi.

Massimo Fusai. Segui su Instagram.