Ladakh, l’ultimo Shangri-là

Era terminata la grande festa del monastero di Hemis e mi trovavo a Leh, capoluogo del Ladakh, una divisione remota del Kashmir indiano posta nelle alte valli fra la grande catena Himalayana, il Karakorum e il Tibet cinese. La notizia giunta in albergo mi colse veramente impreparato: militari indiani, armati anche di manganello e senza tanti mezzi termini, avevano occupato il capoluogo e ordinato l'immediato coprifuoco per tutta la popolazione.
INDIA “Ladakh” – luglio 2000, di Massimo Fusai.

L’albergatore, un musulmano del Kashmir residente nel Ladakh, si sentì in dovere di chiarirmi che il coprifuoco era stato imposto per impedire una loro manifestazione contro un politico buddista, reo di aver parlato male del corano. Nella mia piccola ignoranza la spiegazione mi stupiva non poco, un coprifuoco solo per una manifestazione mi pareva eccessivo, ma tant’è che mi trovavo in un angolo remoto del Kashmir e quindi ogni cosa sarebbe potuta essere possibile.

La notte…

Nella notte il sinistro gracchiare di un altoparlante annunciava per le vie cittadine qualcosa che non capivo. Il mattino seguente scoprii che l’annuncio notturno ordinava ben 2 giorni completi di coprifuoco, così la giornata scorse noiosa nel giardino dell’albergo. Nel pomeriggio scoprii, in modo casuale, che alcuni stranieri circolavano liberi per le strade, quasi non fossero obbligati dal coprifuoco. Così, verso le quattro, decisi di mettere il naso fuori per saggiare l’ambiente ed effettiva nessun militare mi ordinava di rientrare. Iniziai ad aggirarmi per la città, ogni tanto provavo a parlare con qualche soldato chiedendo notizie sul coprifuoco, ma a parte la conferma sulla sua possibile durata nulla di più. Tornando in albergo incrociai un giovane militare che mi salutò sorridente. Aveva una faccia buona, un fare dimesso e timido.

Mi fermai e parlai con lui. Mi raccontò una storia da lasciare allibiti: nella vicina valle dello Zanskar degli assassini, riconducibili ad un gruppo estremista, avevano preso e ucciso, tagliandogli la gola, tre monaci buddisti di un monastero. Solo questo, nessun dettaglio aggiuntivo che spiegasse alcunché. La valle dello Zanskar era in fermento, il gruppo terroristico risultava in fuga e si stava svolgendo la caccia all’uomo. Questo mi confermava che il coprifuoco vigeva per qualcosa di più grosso. Chiesi se ci potevano essere pericoli, ma il giovane militare stringendo le spalle non rispose. Comunicai tutto all’albergatore il quale, offeso, negò risoluto che ciò potesse essere vero in Ladakh.

Il giorno successivo…

Il giorno dopo, vista la strana libertà di girare, uscii per il capoluogo, magari scoprivo ulteriori notizie in merito ai fatti avvenuti. Giravo in una Leh deserta, surreale, dove non seppi niente di più di quanto già conosciuto; unica novità, che alle 17 il coprifuoco sarebbe stato sospeso per 2 ore e i negozi potevano, in quel frangente, aprire. Detto fatto verso quell’ora mi appostai nella via principale per assistere all’interruzione del coprifuoco. Alle cinque in punto una camionetta con altoparlante attraversò le strade che dopo pochi attimi si gremirono di gente, la quale si riversava da ogni dove tanto da sembrare spuntare da sottoterra. Si alzarono le saracinesche dei negozi e il popolo si accalcava a comperare verdura, uova, in pratica quel poco che c’era. Era una scena incredibile, tutti a rifornirsi in quanto il coprifuoco incombeva.

Un nutrito stuolo di militari stazionava davanti alla moschea manganelli alla mano, ma non si notavano reazioni della gente di parte musulmana, anzi non esistevano proprio reazioni da parte di nessuno e tutti pensavano solo a recuperare qualche derrata. Anche io nel mio piccolo comperai un po’ di biscotti, facendo la mia bella coda davanti ad un negozio senza luce elettrica gestito da un’anziana donna dai spiccati caratteri indo-tibetani, ma soprattutto ne approfittai per telefonare a casa e tastare che tipo di notizie circolavano in Italia (nessuna). Così trascorsero le due ore di tregua sociale e allo scoccare delle 19 spuntò di nuovo la camionetta con l’altoparlante fortemente distorto. I militari, che erano stati nel frattempo tranquilli di fronte alla moschea, iniziarono ad urlare e a sparpagliarsi per le strade cittadine roteando i manganelli e sbattendoli con rabbia in quelle serrande che tardavano ad abbassarsi. La gente correva via, i negozi venivano chiusi in grande fretta e in pochi secondi la città animatissima ritornò deserta, o meglio presenziata solo da soldati e turisti come me, gli unici liberi di circolare, gli unici testimoni dei fatti.

Alla fine nel Ladakh…

Due giorni dopo il coprifuoco venne allentato e fu possibile riorganizzare le escursioni programmate. La sera l’albergatore portò una nuova notizia, avvisò che il giorno successivo non sarebbe stato possibile visitare monasteri, perché sarebbero giunti a Leh i cadaveri dei monaci per la cerimonia funebre e i buddisti avevano indetto un giorno di lutto. Fino a qui nulla di strano a parte il fatto che aggiunse che i buddisti avrebbero tirato sassi a chi si avvicinava ai monasteri. Ancora oggi mi viene da sorridere sull’ingenuità dell’ultima frase, infatti i monasteri erano aperti e nessuno mi tirò sassi, sinonimo però di quello stato di tensione e sfiducia esistente fra le due culture e religioni. Mi restava una piccola certezza: la storia narrata dal giovane militare era vera.

In definitiva lo stato delle cose lassù era, forse lo è ancora, ben diverso da quello che si poteva immaginare pensando solo ad una valle ricca di spiritualità. Chi l’avrebbe detto che tutto questo poteva accadere in Ladakh, nell’ultimo Shangri-là.

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