LIBERA

Libera, di Cinzia Passaro.
Libera, di Cinzia Passaro.

Libera, oltre che uno stato interiore, è un nome di donna. Maria Libera, anche se la libertà ha dovuto cercarla ogni giorno. In quel frangente di vita conosce giorni lenti, che le parevano essere superiori alle ventiquattro ore. L’età non l’aiutava. Imprigionata in un corpo non autosufficiente, controllato da Rama la badante senegalese che non sopporta. Vive di ricordi, la strada che vede dalla finestra ritorna sterrata, come quanto da ragazzina la percorreva in bici fino al mare e poi, su tutti, la memoria di Enea.

Maria Libera nasceva nel periodo finale dell’era fascista. Il nome imposto dalla madre, Elena Santoro, che aveva sposato nel 1936 don Vito De Leo, un proprietario terriero iscritto al partito e convinto sostenitore del regime. Libera, in casa, non era considerata la figlia dal padre, era la femmina, mentre il primogenito Francesco era il preferito.

Della famiglia anche la zia Anna, sorella di don Vito, con cui Libera giocava spesso con piacere durante l’infanzia. Studentessa a Bari, Anna, era rimasta incinta del suo primo amore e poi abbandonata da lui. Mise alla luce un bimbo, tenuta rinchiusa nascosta dal fratello agli occhi di tutti e, sempre di nascosto al mondo, don Vito aveva terminato i suoi vagiti.

Libera fra cielo e mare:

Il cielo fatto di mare e di lampare: una immagine che non avrebbe più lasciato la mente di Libera, la protagonista, in un momento di tentativo di affermazione di sé stessa, di consapevolezza. Libera di nome e lo è nello spirito, non di fatto, in quanto vincolata comunque da una cultura arcaico maschilista, tipica di tanti periodi della nostra società. Una storia al femminile che vuole rimarcare il difficile percorso di emancipazione, che forse in molti casi oggi pare scontato, ma che non lo è mai stato e non lo è nemmeno adesso.

Un lungo percorso di vita seguendo le vicende di Libera e di altre donne, fra cui citiamo la madre Elena o la figlia Elma nata negli anni del boom economico italiano. Troviamo tutte le difficoltà di essere donna in una Italia ancora fortemente conservatrice, poi tutte le contraddizioni di un percorso d’indipendenza che non si realizza per questioni esterne e a volte per remore personali. Si ricostruiscono le realtà di tante donne condensate in tre generazioni di vita, realtà che per certi versi possiamo verificare con le nostre madri.

Sì, proprio la madre ci racconta lo sforzo di superare lo scoglio più grande e qualcuna deve pur iniziare a scalare la montagna. Elena, la madre di Libera appunto, vive In un ambiente dove una donna vale poco se non può dare altri figli e in questo la nascita di Libera sancisce la distanza, una nascita che avrebbe dovuto generare riscatto. Forse è proprio il nome a forgiarne il carattere alla protagonista, che scopriamo forte fin dalle prime pagine anche se visto come ribelle.

Gli uomini nella storia ci sono, come è ovvio immaginarlo, però rappresentano per lo più il lato oscuro della vicenda. Oscuro non perché sconosciuto, anzi è fin troppo palese e comprensibile, caso mai perché sono il rovescio di una medaglia che vorrebbe far prevalere solo il loro lato. Persino le figure maschili più positive e sincere, come Enea, non riescono a colmare la distanza enorme che esiste nel vissuto delle donne.

L’ambientazione del romanzo, nonostante la visione di un paese della costa Salentina (il nome di Villamare è immaginario), ricostruisce tutti i passaggi storici: dall’Italia in ginocchio per via del fascismo e della guerra, poi la nascita della repubblica, racconti di vita rurale e di politica, il divorzio, l’adulterio e l’aborto, la legislazione e lo stupro.

Libera da ogni contesto:

Fra le righe non leggiamo solo di difficoltà di donne, relativamente al crescere e vivere quando tutto pare remare contro. Il romanzo ci libera (gioco di parole) dal contesto personalistico, pertanto troviamo anche passaggi che riguardano i modi popolari e le credenze, che in alcuni casi estremi sopravvivono ancora oggi. Fra questi mi piace sottolineare la ‘nfascinatura, una forma di caccia al malocchio da operarsi quando la medicina non portava soluzione. Filastrocche simpatiche in dialetto pugliese, che se non fossero state tradotte nelle note sarebbero state per me incomprensibili. Queste parentesi di colore sono sempre molto piacevoli, perché non solo arricchiscono la storia ma servono a rammentare una realtà modesta e importante al contempo.

Una donna che racconta una storia di donne pugliesi, anzi salentine. Una scrittrice pugliese, anzi Salentina: Cinzia Passaro. Un’autrice impegnata a tutto tondo nel mondo della scrittura, non solo nella produzione dei propri romanzi, di cui “Libera” è la sua seconda uscita ufficiale, ma anche in altri ambiti. Si divide, infatti, fra le attività di recensione di libri, per la testata specialistica web Thrillernord, è l’impegno rivolto all’aiuto collaborando all’interno del bellissimo progetto degli “Autori Solidali”. Di questo gruppo di autori Solidali ho avuto modo di parlare già altre volte, un insieme di scrittori dediti alla pubblicazione di raccolte di racconti i cui ricavati vanno in opere d’aiuto. Aiutare, in qualunque condizione questo avvenga, è sempre un gesto da sottolineare.

“Tu non puoi, tu sei femmina.”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.