Nel mare ci sono i coccodrilli

Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Geda.
Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Geda.

Nel mare ci sono i coccodrilli. Se lo chiedevano seri sulla spiaggia in Turchia, di fronte al tratto di mare che si affaccia sull’isola di Lesbo, prima di attraversarlo con un gommone modello Ikea per clandestini. Alle spalle di Enaiatollah, anni di spostamenti.

Tre cose aveva dovuto promettere in modo solenne alla madre: la prima di non drogarsi, la seconda di non usare armi di nessun genere e per qualunque motivo, la terza era di non rubare e non truffare mai nessuno. A dieci anni, perché Enaiatollah non sapeva di preciso quando era nato, non immaginava proprio che sua madre lo abbandonasse, di rimanere da solo in un magazzino in Pakistan, in fuga dall’Afghanistan.

Lui un hazara, e gli hazara sono visti male sia dai Pastun sia dai Talebani. Sono una razza di schiavi, anche se non dovrebbero esistere. Suo padre era uno schiavo, doveva trasportare merci dall’Iran, pena la morte per la famiglia se avesse fatto qualche errore. Però la morte trovò lui, a causa di rapinatori delinquenti. I proprietari delle merci volevano essere risarciti, volevano la proprietà di Enaiatollah. La madre lo nascondeva in una buca alla notte, poi, cresciuto troppo, il primo viaggio: destinazione Pakistan.

Cosa sei è dove sei:

Come sembra scontato dire che non è possibile scegliere dove si nasce. Solo che non è così scontato il senso di una frase simile. Sottolinea la differenza fra ciò che si è e ciò che avremmo potuto non essere. In quanto il futuro possibile, ciò che una persona può diventare, dipende dall’ambiente in cui vieni al mondo. E a proposito di mondo, quello poi lo vieni a conoscere, in una maniera o nell’altra e allora cominci a pensare che forse da qualche altra parte ci sia la speranza di vivere meglio.

Se sei un bambino afgano, hazara per giunta, non esiste il diritto. Lo dicevano i Talebani: ai Tagikistan il Tagikistan, agli Uzbekistan l’Uzbekistan, agli hazara il Goristan e gor significa tomba. L’unica prospettiva pare essere la morte: ucciso il padre, il maestro nel piazzale della scuola dai Talebani, perché la scuola non serve agli hazara… e così via. Il protagonista, di nome Enaiatollah, deve prendere atto in fretta della realtà e crescere senza avere una casa.

Nel mare ci sono i coccodrilli è la storia di un viaggio, il quale, sempre a causa di quella cosa scontata su dove nasci, non può essere paragonato a quelli che facciamo noi per turismo. Un viaggio terribile, compiuto sempre di nascosto, agevolato da trafficanti di esseri umani a qualunque livello e in qualsiasi nazione attraversi. Le montagne e la neve, i corpi congelati da cui prendere le scarpe. I doppi fondi di camion, chiusi senza cibo per giorni. Oppure rischiare di finire in mare, con giubbotti salvagente sfondati senza saper nuotare. Fra uno spostamento e l’altro c’era la necessità di trovare un lavoro qualsiasi per il tempo necessario a guadagnare i soldi per un altro spostamento, per pagare un altro trafficante di uomini.

I coccodrilli esistono:

Lo ha scoperto il protagonista, senza ombra di dubbio, esistono e sono persino nel mare. Sono pronti ad approfittare della disperazione per guadagnare, fingendo un aiuto che diventa azione a proprio rischio e pericolo. Questi coccodrilli sono veramente tanti, impossibile evitarli, la vera vittoria rimane sopravvivere.

Lo ha scoperto anche l’autore, Fabio Geda, un torinese del 1972. Una importante esperienza come educatore nei servizi sociali ha dato impulso alla sua produzione narrativa Uno scrittore di vite vissute e sicuramente operando nei servizi sociali di vite che hanno vissuto di tutto ne ha incrociate molte ed Enaiatollah Akbari è una di queste vite. La storia di un profugo in un Afghanistan diverso negli anni da quello narrato da Khaled Hosseini ne “Il cacciatore di aquiloni”, ma simile nella sostanza della tragicità.

Il romanzo “nel mare ci sono i coccodrilli” non è recente, ma del 2010, però l’argomento è di estrema attualità. Il tema del viaggio della speranza, che appare più della disperazione, ci apre a dettagli crudi che non conosciamo pur sforzandoci di immaginarli. È scritto in una maniera particolare, i periodi un po’ naif come se fosse la trasposizione del racconto diretto di un ragazzo afgano che ha da poco imparato l’italiano. In corsivo alcune parentesi in cui il racconto s’interrompe per fare posto alle domande dell’autore, capaci di integrare la storia difficile.

“I fatti, sono importanti. La storia, è importante. Quello che ti cambia la vita è cosa ti capita, non dove o con chi.”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.