Piazza d’Italia

Piazza d'Italia, di Antonio Tabucchi.
Piazza d’Italia, di Antonio Tabucchi.

Piazza d’italia. Un giorno da chiodi, quando Garibaldo si prese una pallottola in fronte. Stramazzando gorgogliò abbassò il re. Ma non c’era più nessun re, vigeva la repubblica fondata sul lavoro. Nella famiglia di Garibaldo il tempo era sempre corso su fili speciali e per lui la cosa più difficile da comprendere della vita era proprio la morte.

I fratelli Quarto e Volturno, due gemelli di pelo rosso. Volturno aveva il mal del tempo, rispondeva a domande fatte il giorno prima o settimane prima, confondeva i nomi e mescolava le storie. Andarono in Africa a fare guerra, dove ci sono tramonti come ferite. Quarto fuggì cercando la libertà con un gruppo di beduini libici, Volturno tornò in una cassa piombata.

Il padre Plinio, che seguì Garibaldi perse un piede, amputato per una brutta ferita. Piede che tenne per sé per gettarlo sotto le mura dei giardini vaticani. Così aveva preso a calci Pio IX. La madre Esterina combattiva e coraggiosa, come la sorella di Garibaldo Anita che chiamavano Atina perché Volturno la chiamava così.

Un percorso di storia:

Piazza d’Italia è un romanzo storico, o meglio la storia rappresentata da chi subisce la storia con la esse maiuscola. Lo sbarco dei mille e l’unità d’Italia. La prima guerra mondiali, dove nelle trincee capisci che l’importante e sopravvivere. Il fascismo e la seconda guerra mondiale, in cui la sovversione è matrice di bellezza. Infine la repubblica. Tutto seguendo le vicende di tre generazioni di toscanacci, uomini e donne dai caratteri e nomi particolari, dalle origini anarchiche all’ideologia comunista. Vivono in un paese vicino alla costa, un borgo rurale che rappresenta la semplicità del vivere che si contrappone con la complessità degli eventi.

La rappresentazione della miseria, delle difficoltà nell’affrontare i giorni, lo sfruttamento. Le regole del potere da rovesciare, perché l’acqua è di tutti, il grano è di tutti, ma nessuno lo deve mai sapere. Il timore dei presagi da superare ricamando una imponente dote personale. Le colonie africane e l’emigrazione aldilà dell’oceano. Tutto cambia nel mondo, tranne che per la povera gente e l’unica certezza diviene la morte, quella naturale o dovuta a una pallottola.

Ho preso questo romanzo al buio. Molte librerie Feltrinelli sistemano vicino alla cassa dei libri ricoperti con carta da pacchi, in cui è scritto un breve invito alla lettura senza mostrare il titolo o la copertina. La piacevole sorpresa è stata quella di trovare il primo Antonio Tabucchi. Un romanzo molto fuori dagli schemi: capitoli brevi, non sempre collegati armoniosamente però logici nel complesso, forse un po’ forzato ma non risulta fastidioso alla lettura. Uno scritto diviso in tre parti fondamentali (più un’appendice e un epilogo), una per ogni fase storica seguendo il filo che potrebbe essere quello di una fiaba.

Si tratta dell’esordio del noto scrittore, che poi avrebbe trovato i vertici con “sostiene Pereira”. Per me che provo piacere nel parlare di esordi ha un sapore quasi magico aver scelto al buio questo romanzo. Scritto nel 1973 e stato poi pubblicato ufficialmente due anni dopo.

Antonio Tabucchi, detto anche Antonino. Pisano di nascita, scrittore e traduttore ma soprattutto docente di lingua e letteratura portoghese. Una vera passione per la cultura e lingua lusitatna, al punto da divenire il principale esperto e traduttore del grande Fernando Pessoa. Nel 1975 l’esordio nel modo della letteratura, con questa storia favoleggiata che segue le vicende di una famiglia di anarchici toscani.

“Mamma, oggi non c’è niente da mangiare.” “Fa bene agli occhi” rispondeva l’Esterina.

Massimo Fusai. Segui su Instagram.