Venti anni dopo…

Venti anni dopo, la Birmania cambiata. Di Massimo Fusai.
Venti anni dopo, la Birmania cambiata. Di Massimo Fusai.

Venti anni dopo. No, non voglio parlare del noto romanzo scritto da Alexandre Dumas. Tornare in Birmania (Myanmar) dopo venti anni e vederla cambiata, ecco il mio nuovo pensiero.

Una nazione, due viaggi, due esperienze diverse. Due esperienze comunque paragonabili, perché dopo tanti anni una persona che ha viaggiato è in grado di fare le debite valutazioni, nel bene o nel male. Le due cose non vivono solo nell’ambito delle sensazioni, il bene e il male lo troviamo spesso nell’oggettività della realtà.

Il Myanmar la consideravo la terra delle pagode dorate, perché ognuna colorata e scintillante da sembrare d’oro; la terra dei sorrisi, che tutti elargivano nella semplicità della loro esistenza e nonostante un brutale regime militare in essere.

Venti anni dopo ho scoperto che esistono sempre gli splendidi sorrisi che incontrai nel 1996, poi i monaci con le toghe vinaccia più che color zafferano. Ma comunque molto risulta mutato: non ci sono più i cartelli di propaganda dei militari, i quali erano presenti in ogni dove e nella capitale; imperversano ora gli smartphone, poi un traffico centuplicato e una sfrenata corsa alla globalizzazione. Sì, anche lì nella terra delle pagode dorate.

La memoria va a cosa ho conosciuto di quel paese, un modo di essere pacifico che contrastava con la presenza della dittatura. Poi ancora le persone incontrate, come il vecchio conduttore di treni che tutto sapeva sulle destinazioni dei vari convogli e che aveva guidato le locomotive ai tempi del dominio inglese. Le città erano punti d’incontro, la vita si concentrava intorno ai grandi monasteri o le pagode più importanti, con mercati colorati e spontanei.

All’epoca le periferie erano margini sfumati e semplici, il lungo respiro delle campagne composta da una bucolica povertà, comunque margini di vita decente.

Venti anni dopo invece, come già accennato, tutto ha un aspetto diverso. Lo si coglie in tantissimi elementi, a partire dal cibo di strada abbastanza parificato ai nostri schemi, i rapporti con le persone le quali ti vedono prevalentemente come turista, fino all’urbanizzazione sempre più cementizia e avvolgente. In questo ambito le periferie somigliano a quelle di un qualunque paese succube della modernizzazione, nuovi margini nell’odierna Birmania con tutte le contraddizioni del caso.

In quei margini ora dimorano nuove povertà, in quei margini afferiscono i rifiuti del nuovo vivere, al pari di altre realtà e città del nostro mondo e del terzo. Una corsa all’espansione che porta le persone a vivere e sopravvivere nella pattumiera post moderna. In questo nuovo contesto, solo la mente libera di un bambino può trovare spazi di gioco in quello che appare più un inferno dantesco.

Massimo Fusai. Segui su Instagram.