Resto qui, un motto di ribellione e solitudine.
In paese la chiamavano signora maestra e la salutavano da lontano, aveva insegnato a leggere e scrivere in tedesco ai bambini dei masi in scuole clandestine, rischiando il confino. Degli uomini se ne infischiava, che c’entrassero qualcosa con l’amore le pareva una cosa ridicola. Gli uomini erano tutti goffi o pelosi o rozzi, a volte tutte tre le cose insieme. Avevano l’odore del sudore e della stalla. L’unico che avesse mai guardato era Erich, lo vedeva passare all’alba con il cappello abbassato e la sigaretta in bocca, mentre spingeva la mandria. L’amore, a volte, fa sentire ladri.
Nel 1923 Trina doveva fare l’esame di maturità. Proprio quell’anno Mussolini aveva stravolto la scuola. L’anno prima c’era stata la marcia su Bolzano, con i fascisti che avevano messo a ferro e a fuoco la città. Tutto sembrava ostile, avevano ribattezzato strade, ruscelli e montagne, italianizzato i nomi, proibiti gli abiti soliti, di parlare la lingua tedesca. Gli insegnanti furono mandati via, arrivarono dal Veneto a da ancora più in giù.
Restare e partire:
Resto qui, più che un atteggiamento ostinato rappresenta un’idea. Restare non è una mera opposizione a qualcosa, diviene invece una sorta di costruzione interiore necessaria a superare tutto, a sopravvivere. Si resta nonostante una diga che cancellerà un paese; si resta anche se considerati non italiani dal governo fascista di Mussolini; si resta a dispetto del sogno di Hitler e di una Germania nazista che libererà il sud Tirolo è i suoi abitanti. Si resta perché si è.
La vita è difficile, non solo per il lavoro quotidiano nelle malghe e con gli animali (quella è casomai vita dura), la vita diviene difficile perché le persone non trovavano più lavoro in quanto considerati non italiani. Il fascismo aveva dichiarato una specie di guerra finalizzata a italianizzare le zone di confine e il sud Tirolo era fra queste. Così come in Istria gli insegnanti furono mandati da lontano, ignari della lingua per obbligare all’italiano i residenti, impedita qualunque attività o possibilità a chi parlava solo tedesco (austriaco veniva definito). Trina, la protagonista, capisce la situazione, è giovane si impegna a imparare la grammatica italiana per affrontare la realtà.
Il fascismo, poi la guerra, infine una diga. L’idea di tirare su una diga nell’area del paese di Curon, in Alto Adige, era già nata nel lontano 1911. Era l’acqua l’oro delle Alpi, tanta da creare bacini per generare energia. Ma gli ingegneri e studiosi avevano alla fine bocciato l’area perché il terreno era stato considerato non adatto alla formazione di un bacino. Il fascismo aveva fame di energia, stava ingrandendo città, potenziando l’industria. Quel progetto tornò alla luce. La gente fu in pratica obbligata ad accettare indennizzi o l’espropriazione forzata.
Era il periodo delle dighe, costruite ovunque fosse possibile anche in barba agli aspetti geomorfologici o umani (rammentiamo il caso del Vajont). Così venne deciso nell’area di Curon, pur essendo un progetto abbandonato proprio per questioni inerenti l’area. In questo caso non sono capitati disastri come nella zona del Vajont, ma è stata cancellata la vita di tanti. Curon come Fabbriche di Careggine, in provincia di Lucca, sommerso dopo la costruzione di una diga per la produzione di energia nel 1946.
Una storia che resta
Un romanzo scritto con parole semplici, perché la storia spesso è semplice soprattutto se rappresenta persone semplici. Alle persone semplici le vicende cadono addosso come frane inarrestabili e allora non resta che scegliere le parole una a una per provare a raccontare. Una prosa essenziale, senza particolari giri o metafore, che racconta l’odio, l’amore, il dolore e la gioia senza mai eccedere ma quasi fossero con pagine sussurrate. Resto qui diviene una sorta di rappresentazione di una caparbietà senza apparente lotta, un nascondersi a ciò che sta intorno e che vuole allontanare (il fascismo, il fuhrer, la diga), come tartarughe ritirare la testa nel guscio per superare la povertà e le sofferenze.
Lo scrittore, Marco Balzano, milanese, docente e autore di testi e poesie. La sua prima pubblicazione risale al 2010 e da quel momento ha prodotto romanzi che hanno ricevuto autorevoli premi. Resto qui giunse secondo all’edizione del 2018 del premio Strega, ma ottenne comunque importanti riconoscimenti in altre selezioni e in Francia. Di Marco Balzano ho avuto modo di parlare per un altro romanzo, “quando tornerò”. Anche in questo caso la protagonista è una donna, la quale questa volta affronta la difficoltà di venire in Italia per vivere.