Ritorno dall’India

Ritorno dall'India, di Abraham B. Yehoshua.
Ritorno dall’India, di Abraham B. Yehoshua.

Ritorno dall’India, il ritorno in Israele da un viaggio che non era affatto una vacanza. Per il giovane medico Benji Rubin le prospettive sembravano difficili, forse impossibili. Per svolgere le suture, a fine operazione, vienne scelto l’altro specializzando e questo rappresentava l’idea di chi sarebbe stato selezionato alla fine del periodo di specializzazione. Per cercare di rimanere nel reparto il tempo era quasi a termine. Il professore Hishin aveva le idee chiare ma non le esternava, per Benji non rimaneva che cercarsi in futuro un posto in qualche altro ospedale d’Israele, magari privato.

Però il professore Hishin aveva convinto Benji ad andare a un colloquio con il signor Lazar, direttore dell’ospedale, a cui aveva consigliato il suo nome. Benji partecipò a questo colloquio e con molta sorpresa scoprì che non aveva a che fare con il suo futuro in ospedale. Doveva assistere la famiglia del direttore al recupero della figlia, la quale partita per l’India per vivere una esperienza di aiuto si era trovata colpita da una epatite pericolosa.

Benji rimase stupito e perplesso, avrebbe voluto non dare seguito alla richiesta. Il professore Hishin pareva molto interessato a una sua risposta positiva. Anche i genitori lo convincono ad accettare, dopo tutto si trattava del direttore dell’ospedale e la cosa sarebbe stata di aiuto per il suo futuro.

Ritorno alla realtà:

Un viaggio in India non cercato e nemmeno voluto. Subìto, per certi versi. Il protagonista Benji Rubin, uno specializzando che vuole diventare chirurgo, non vede con estremo favore che il suo futuro possa venire definito da una parentesi da infermiere. Assistere una famiglia nel recupero della figlia non era quello a cui ambiva in senso generale, neppure valutando che la famiglia si trattava di quella del direttore amministrativo dell’ospedale. L’autostima cede di fronte all’evidenza che altri verranno scelti nel reparto, poi i genitori che lo convincono ad accettare per il suo bene.

Un viaggio non cercato, ho accennato, e non è il viaggio che da significato al proprio esistere, caso mai il ritorno. Mi rendo conto che è difficile pensare che non sia proprio il passaggio in India a motivare il tutto, perché è proprio durante che s’innesca il cambiamento. Seguire una famiglia per aiutare una giovane ragazza, però innamorarsi della madre. Fare di tutto, durante quella permanenza indiana, per salvare la vita alla giovane con lo scopo di essere parte del rapporto con la donna più matura.

Ed è proprio il ritorno a generare quanto sconvolgerà il suo esistere, compreso tutto ciò che dovrà ricostruire. Non era l’India fondamentale, il viaggio poteva essere anche solo nel Mar Morto, quanto successo avrebbe comunque segnato il suo ritorno. Un ritorno in cui giustificare i propri sentimenti e le decisioni prese da solo durante la permanenza in India. Un innamoramento che si palesa fisico ma incontra tutte le parti di un enigma inconscio che deve essere affrontato e interiorizzato. Impossibile da interpretare, fra tormenti e leggerezze, fra passione e realtà, in un equilibrio precario che potrebbe rompersi.

Un ritorno autorevole:

Il romanzo è scritto in prima persona. L’autore coincide idealmente con il personaggio principale, lo guarda dall’interno e lo fa sbocciare. Ogni corposo capitolo è anticipato da una riflessione personale del protagonista, che sfocia poi nella narrazione diretta di sé stesso. Un romanzo diviso in quattro parti che identificano la condizione e (attenzione) non per forza reale. Queste parti sono: innamoramento, matrimonio, morte e amore; che rappresentano il focus di una esistenza tormentata e da scoprire.

Abraham Boolie Yehoshua, scrittore e drammaturgo israeliano, mancato di recente nel 2022. Nato a Gerusalemme, è stato insegnante di letteratura ebraica. Successivamente all’esperienza di leva militare, obbligatoria per tutti i cittadini israeliani e nemmeno breve, si dedica alla scrittura. Negli anni sessanta diviene esponente primario del movimento culturale denominato Israeli New Wave, una nuova narrativa ebraica di stampo postrealista, detta “della disillusione” e anti-establishment.

In Italia le sue opere sono state introdotte dall’editore “La Giuntina”, per poi essere seguito anche da altri. Il testo di cui parlo è del 1996, mentre l’edizione italiana in mio possesso è del 1999.

Mi lagno proprio in un luogo in cui noi, occidentali viziati, dovremmo piuttosto essere umili…

Massimo Fusai. Segui su Instagram.