Il delitto di vico San Domenico Maggiore

Il delitto di vico San Domenico Maggiore, di Lidia Del Gaudio.
Il delitto di vico San Domenico Maggiore, di Lidia Del Gaudio.

Settembre del 1936, l’uomo alto doveva tentare di ricomporre i pezzi della sua esistenza. Questo lo scopo dietro un rudere da ricostruire in provincia di Avellino, ottenuto con una eredità mal digerita. I lavori non necessitavano della sua presenza, aveva assunto un geometra allo scopo, però si era trovato costretto a vedere una cosa importante assai, chiamato dal capomastro. Una cosa che doveva essere messa a conoscenza solo al padrone, non le maestranze, non il geometra.

Napoli, 1940. Il commissario Alberto Sorrentino è tornato in città, dovrebbe vivere nel suo vecchio appartamento con l’ingresso ingombro del bagaglio mai disfatto. Nei primi giorni il fermo di un ragazzino per un borseggio di poche lire, nu guagliunciello colto in flagrante alla stazione di piazza Garibaldi. Si chiama Santino e tiene la capa tosta. In un fazzoletto poche cose e delle monete, oltre a una piccola croce listata in oro con bordi decorati.

Non bastasse altro, nel cuore della notte il vice brigadiere De Gennaro scampanella scostumato. Un’emergenza, si tratta di un morto ammazzato. Un chirurgo molto stimato, ammanigliato con l’alta società e pezzi grossi del partito fascista. Un omicidio dai connotati strani, dove il sangue non manca, perché un semplice mariuolo non avrebbe infierito così su una vittima.

Una bella gatta da pelare, annunciavano. Ancora di più cadeva sulla spalle di Sorrentino la preoccupazione che qualche personaggio importante, soprattutto il Podestà, trovasse una benché minima scusa per lamentarsi. Nulla doveva trapelare.

Un delitto, un giallo, uno storico:

Leggendo questo romanzo mi è venuta a mente un famoso brano della Napoli del dopoguerra: monastero ‘e Santa Chiara. L’ho ripensato per due motivi, il primo è quello che il monastero risulta citato nella vicenda, il secondo per la frase della canzone che dice “Penzo a Napule comm’era”. Questo perché ho avuto proprio l’idea di scoprire Napoli come era una volta, non antica o lontana e fuori luogo, bensì ricordata senza nostalgia ma con amore.

Vediamo una Napoli romantica, non certo idealizzata e nemmeno crudelmente reale come nei romanzi di Elena Ferrante. È un palcoscenico mobile, che muta sempre lo scenario senza divenire cartolina. Le descrizioni ce la mostrano nella sua essenza storica, così precisa da credere di esserci. A onor del vero ho immaginato l’autrice circondata da centinaia di foto d’epoca capaci di stimolare il suo racconto.

Questa storia segue un altro romanzo, pur non essendone il seguito logico. I due romanzi possono essere letti in modo indipendente. Ritroviamo il commissario Sorrentino, l’amicizia con la signora Elisa e la domestica donna Fortuna che tutto capisce. Poi le vicende umane definite in dettagli storici interessanti, come la fetenzia di caffè, il surrogato imposto dalle restrizioni autarchiche fasciste, che ricorda la ciofeca del grande Totò; i padiglioni di cura per le malattie dell’Africa orientale; la pallacorda; la verifica dei rifugi, calcolati su quattro metri cubi per persona, per una permanenza di sette ore.

Oltre a questo il vero elemento costante, che diviene la firma dello stile dell’autrice, sta nel fatto che l’indagine cade, anche qui, alla vigilia di un avvenimento storico di grande rilievo: nel primo romanzo la visita di Hitler e Mussolini a Napoli; in questo l’annuncio della dichiarazione di guerra, quella delle terribili “decisioni irrevocabili” comunicate dal balcone di palazzo Venezia. Decisioni che hanno condotto il paese in fondo al baratro.

Lidia del gaudio:

Scrittrice napoletana, specializzata in romanzi gialli e noire. Infatti ha una particolare passione per genere, poi il mistery è l’horror e i film di Hitchcock (magari anche a lei, come a me, piace uccelli). Questo romanzo segue il successo del precedente, a cui rimandiamo per semplicità, che ha portato l’autrice a essere segnalata nella selezione del premio Strega e non possiamo definirlo un caso.

Riempie le pagine di una scrittura veramente bella e piacevole, con una capacità di definire i personaggi e le storie che innamora. Se proprio devo dire la mia, avrei speranza e piacere di poterla leggere in un contesto letterario diverso. Perché no?

“Parlano tra loro i tuli, tuli, tuli, tulipan…”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.