I fuoriposto

I fuoriposto, di Cosimo Buccarella.
I fuoriposto, di Cosimo Buccarella.

I fuoriposto, ovvero ragazzi fuori posto, come i ninnoli posati a caso sui comò, sulle mensole o sul tavolo di cucina.

Avevano conquistato un fortino, una casamatta di cemento costruita dai militari sulla cima della Pietra Spaccata. L’avevano contesa per mesi a un ragazzino smilzo di nome Ettore e per conquistarla si era preso un sasso sulla testa. Dentro quel fortino, con Giovanni e Umberto, giocavano a briscola in tre eliminando una carta, che invece appariva durante la partita. Marcello portò un cartoccio di cioccolata, sporca di terra e formiche e c’era un solo posto dove rubarla.

Marcello, però, poteva raccontare molto di più. Con il padre, chiamato con il nomignolo di Jimmy, si era recato presso il campo militare gestito dagli inglesi, anche se la guerra era finita. Il padre, sinior Jimmy, doveva fare un lavoro di falegnameria importante. Là, Marcello, aveva visto una donna bellissima fare il bagno e per rivederla di nascosto s’intrufolava nell’area militare da una zona non presidiata. Quel giorno, passando, aveva trovato un uomo morto e della cioccolata a terra uscita dalla tasca.

fuoriposto ma molto dentro alla vita:

Nel 1946 la guerra era finita, il regime fascista non dominava il paese, ma l’onda lunga della miseria in cui l’Italia era caduta con la guerra era ben presente. In un paese del Cilento, in cui c’era molto poco, la presenza inglese segnava il contrasto fra il niente post bellico, con l’abbondanza presente nel campo inglese che possedeva tutto. Queste possibilità erano cibo, vestiti e medicinali forniti come aiuto dall’organizzazione UNRRA, solo che non erano aiuti per la popolazione, bensì per rifugiati ebrei sopravvissuti e rientrati dai campi di sterminio e senza più una casa.

Un gruppo di ragazzini, i fuoriposto, scoprono uno di questi ebrei morto nella boscaglia. Decidono di prendergli le scarpe e i vestiti e da qui s’innesca una avventura a tutto tondo, di quelle che puoi vivere solo da ragazzo. Uno dei protagonisti si chiama Tommaso, tredici anni, un padre fabbro con le manone enormi e virtuoso della cinghia. Una sorella malata di febbre tifoide, di nome Romilda, un fratello minore Bruno e un’altra sorella Anna. La madre viveva in un mondo suo, silenziosa e lenta negli spostamenti dopo lo shock subito durante i bombardamenti. In questo contesto scopre che esiste un ospedale nell’area degli inglesi e vorrebbe rubare la miracolosa penicillina, per curare la sua sorella malata.

Rubare, per quanto possa sembrare strano, era una specie di libera condizione in una economia basata sul baratto, dato che come accennato il niente imperava. Insomma, rubare qualcosa era quasi lecito, un modo per sopravvivere e generare un equilibrio sociale che veniva accettato, ma se qualcuno aveva qualcosa di molto ptezioso lo teneva nascosto a tutti. Allo stesso modo trovare una qualunque cosa che potesse avere un valore rendeva lecita l’appropriazione, per ricondurla in casa e farla diventare proprietà: persino una bomba inesplosa da mille libbre affondata per metà in un acquitrino.

Anche se quanto riportato può sembrare una condizione limite, il romanzo non la fa apparire tale. Tutto gira proprio in un equilibrio di vita dettato dai tempi e dalle consuetudini come per esempio la ‘ngiuria: ovvero il soprannome: come il Sirena, il Vola o addirittura sinior Jimmy (ma per capire bisogna leggere la storia). Nomi nati da situazioni e che rimangono attaccati anche alle generazioni successive, sempre che non capiti un qualcosa che lo modifica. Allo stesso modo era normale possedere il mollone, ovvero il coltello che serviva per diventare maschio. Infine gli insulti fra ragazzi, una vera gara a generarne di nuovi e schifosi, ma credo che valga in qualunque periodo.

Un romanziere affatto fuoriposto:

L’autore di questo lavoro, un romanzo di formazione ineccepibile, si chiama Cosimo Buccarella. Scrittore salentino, per la precisione di Lecce, la citta barocca per antonomasia. Non è affatto barocco come autore, anzi mostra una scrittura molto diretta, capace di esprimere concetti forti senza voli pindarici e senza forzature che possono dare fastidio. Questo aspetto lo si nota molto bene nella trama del romanzo presentato ma anche nei suoi lavori precedenti.

Di sicuro la formazione individuale ha dato agio alla costruzione della sua personalità come scrittore. Se le mie informazioni sono giuste, in quanto si tratta di una persona abbastanza riservata, ha una laurea in Scienze della Comunicazione ed è certificato presso la scuola di scrittura creativa Rai ERI.

Il romanzo “i fuoriposto”, pubblicato per Corbaccio editore, viene presentato come un esordio però in realtà non lo è. Questo aspetto mi ha colpito in quanto, nella nota di copertina sull’autore, non si rammenta per nulla il romanzo precedente pubblicato “brave persone” e che potete rileggere al collegamento proposto. Sì, perché si tratta di un autore di cui ho già trattato e questo bis, autorevole, ne dimostra il valore assoluto.

“Dai nome a un corpo inanimato e diventerà una persona.”

Massimo Fusai. Segui su Instagram.